Il fattore TP, o Target Panic (Panico da Bersaglio), rappresenta un aspetto piuttosto diffuso tra gli atleti di diverse discipline e si manifesta in maniera più o meno significativa a seconda della personalità e del vissuto dell’atleta stesso, ma anche in relazione all’attività sportiva praticata.
Nel tiro a segno, il TP rappresenta il manifestarsi di insicurezze e paure presenti nel vissuto dell’atleta in maniera più o meno conscia (ma spesso relegate nel profondo dell’inconscio) ed accolte dall’atleta stesso come una sua caratteristica personale con la quale dover convivere poiché apparentemente inattaccabile.
La realtà dei fatti è che il TP è quasi sempre uno specchio di un disagio collegato a qualcosa che va ben oltre la paura del bersaglio e spesso non ha nulla a che fare con il tiro in sé, ma è la manifestazione di disagi che, come detto, arrivano da ben più lontano.
In questi casi il lavoro attraverso tecniche di rilassamento e visualizzazione volti ad una maggiore consapevolezza corporea e predisposizione mentale rappresentano strumenti di sicura utilità e giovamento, ma non possono prescindere da un lavoro ben più profondo che, partendo da strade diverse e molto spesso lontane dalla disciplina sportiva in sé, vada a toccare il vissuto dell’atleta rispetto molteplici aspetti del suo quotidiano anche lontano dal poligono di tiro.
Nella mia esperienza professionale ho avuto a che fare con diversi casi di atleti molto preparati dal punto di vista tecnico e atletico, ma che manifestavano a livello competitivo un andamento altalenante pur dicendosi preparati in termini di self confidence ed allenamento mentale.
Il lavoro con questi atleti è passato necessariamente attraverso l’analisi di fattori che apparentemente non riguardavano la disciplina sportiva ma come costoro si approcciassero a diversi aspetti della loro vita dove si sentivano messi in gioco, così come nello sport.
Un calo drastico della prestazione ogni qualvolta l’atleta si accorgeva di inanellare una serie di “10” o di “mouche” consecutive fornendo una mini serie di “8” e “7” nei colpi successivi, rappresenta un caso che ha messo a dura prova uno dei suddetti atleti (che chiameremo F.) in un percorso di autoconsapevolezza che ha coinvolto il suo rapporto con la visione di se stesso come persona e sportivo meritevole di successo e prestazioni di alto livello.
Apparentemente può sembrare ovvio che l’obiettivo di un atleta sia il raggiungimento di massimi risultati, ma ciò che “spinge” dai substrati del nostro inconscio non sempre rema nella stessa direzione alimentando così l’influenza della “mente che zavorra” piuttosto che quella che sostiene l’atleta.
Conseguentemente, ogni qual volta F. metteva a segno una serie di 3 o 4 colpi con il massimo punteggio, era soggetto all’azione di uno schema di comportamento automatico che lo condizionava abbassando drasticamente la sua prestazione riportandolo a livelli che inconsciamente pensava di meritare e dove si sentiva quasi confortato e sicuro nonché meno esposto ad una realtà, quella dei massimi risultati, alla quale non sentiva di appartenere.
Il timore del bersaglio, la paura di vincere, vanno spesso di pari passo con una self confidence non del tutto consapevole e minata da una realtà profonda ed intima che va affrontata in maniera seria per la quale risulta auspicabile l’intervento di uno psicologo dello sport che possa individuare le reali cause dei problemi e che sia quindi in grado di indirizzare l’atleta verso il rimedio più adeguato.
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