Il lavoro all’interno di un settore giovanile rappresenta uno scenario variegato e pieno di incognite, ma, al tempo stesso, stimolante ed istruttivo, per chiunque sia parte attiva di uno staff tecnico di una realtà sportiva.
Fare sport a livello giovanile richiede, al giorno d’oggi, una grossa responsabilità da parte degli istruttori- allenatori in quanto il giovane atleta si trova di fronte ad una realtà personale, famigliare, sociale e sportiva particolarmente difficile da gestire in particolare nel periodo adolescenziale puro, durante il quale il giovane sta creando la propria personalità, e si trova in mezzo ad un turbillon di stimoli esterni ed interni che poche volte riesce a gestire con rilassato approccio.
Lo psicologo dello sport, di conseguenza, si trova di fronte ad un quadro che racchiude in sè tanto l’aspetto psico- sportivo quanto quello educativo, avendo sì a che fare con tutti gli aspetti psicologici maggiormente a carattere sportivo inerenti l’approccio alla gara, l’allenamento ed il gesto tecnico, ma ugualmente, come detto, anche a tutta una gamma di situazioni relative alla crescita ed alla maturazione, non solo sportiva, degli atleti.
Ne consegue che alla base dell’intera architettura di un progetto, che voglio definire, psico- educativo, deve esserci piena e consapevole collaborazione tra il professionista psicologo ed il professionista coach. Laddove non sussistano tali basi non vi può essere una proficua collaborazione, né si possono sviluppare dei percorsi formativi favorevoli alla crescita sportiva e mentale dei ragazzi.
In alcuni ambienti sportivi, vi è ancora un atteggiamento diffidente nei riguardi dell’approccio psicologico allo sport; molti allenatori tendono a sentirsi defraudati del loro ruolo di punto di riferimento della squadra, non riconoscendo, probabilmente solo perchè non ne sono a conoscenza, l’apporto che una consulenza professionale di tipo psico- educativa può rendere sia a livello relazionale, allenatore- squadra, sia a livello di crescita degli atleti stessi.
E’ fondamentale, perciò, che il progetto parta dalla collaborazione e dall’intesa tra lo staff tecnico e lo psicologo sportivo; gli obiettivi, ma anche i presupposti e l’approccio al lavoro con i ragazzi, devono essere coincidenti per quanto riguarda gli aspetti principali di crescita e maturazione dell’atleta ed educazione allo sport.
L’obiettivo che un intervento psico- educativo in ambito sportivo si pone è quello di educare i ragazzi attraverso l’attività sportiva, cercando di sviluppare in loro l’autonomia, il libero pensiero, la libertà di creare e di osare (e quindi di sbagliare), indirizzandoli, al tempo stesso, secondo i principi di educazione, lavoro, impegno, rispetto e filosofia di gruppo, senza tralasciare il loro diritto alla fantasia ed al divertimento. In generale, a tutti i livelli, considerando la differenza di età, che sottende differenti richieste e responsabilità, si interviene sugli aspetti pedagogici, motivazionali e comunicativi, utilizzando i modelli comportamentali più opportuni che hanno come fondamento la percezione di competenza, basata sul soggetto e sulle sue abilità, piuttosto che sul compito, con conseguenze positive sulle relazioni, sul clima, sul lavoro di gruppo e, quindi, sulla motivazione.
Il coach, si inserisce in questo progetto educativo nella maniera che gli è più consona: allenando.
Egli trova le chiavi per affrontare le diverse realtà considerando ogni ragazzo diverso dagli altri e utilizzando un approccio quasi “ad personam”, all’interno di un sistema condiviso di regole rispetto alle quali invece tutti sono uguali.
Solo attraverso l’utilizzo di regole di comportamento, l’allenatore può porre le basi per una gestione del gruppo costruttiva e produttiva volta alla responsabilizzazione dei ragazzi, ma anche alla socializzazione ed all’unità di gruppo, senza dimenticare che un gruppo che rispetta le regole ha più possibilità di migliorare e progredire anche dal punto di vista tecnico e dei risultati proprio grazie all’approccio che ogni componente della squadra propone.
Un allenatore in questo modo può lavorare sullo sviluppo del pensiero, della capacità di valutare e prendere decisioni, e sulla libertà di esprimere sé stessi senza terrore di sbagliare, sensazione che spesso viene vissuta molto male dai giovani atleti.
Se educare significa anche stimolare, l’accettazione del concetto di errore come necessario per l’apprendimento ed il miglioramento, costituisce un passaggio obbligato nel corso della crescita non solo del giovane atleta ma anche del ragazzino.
Il coach infatti propone ai ragazzi situazioni nelle quali viene chiesto loro di trovare la soluzione per le quali hanno tutti gli strumenti necessari, in modo da sviluppare la capacità di problem solving nonché la fantasia ed un atteggiamento propositivo nell’affrontare e superare i propri limiti.
Superare le difficoltà, infatti, così come il mettersi alla prova e, di conseguenza, comprendere in maniera tangibile che con costanza e lavoro si possono superare gli ostacoli, sono aspetti educativi che rappresentano un ASSIST all’autostima, all’indipendenza, alla crescita ed alla scoperta di se stessi. Ed è in quest’ottica che si vive in maniera diversa anche l’errore.
E’ necessario che sia chiaro che I RAGAZZI HANNO DIRITTO A FARE ERRORI, anzi, per certi versi, sbagliare è necessario!!!
Spesso ci si dimentica che sbagliare è il primo passo verso il successo, dove successo (uso questo termine volutamente), significa imparare a guardare l’errore senza timore e, con l’aiuto del coach, affrontarlo e trovare il modo per venirne fuori, cercando di dare il meglio di sé stessi.
L’accettazione dell’errore come aspetto positivo e pro-positivo evidenzia una mentalità piuttosto aperta ed indirizzata ad un tipo di percorso educativo che devo definire molto emancipato, anche se, di fatto non lo è. L’approccio che ci è stato tramandato da generazioni è quello che l’errore è uguale a fallimento, vergogna e biasimo, creando perciò un’aura di paura ed insicurezza nella personalità più fragili, guarda caso, come nella maggior parte dei giovani atleti.
Il ruolo della famiglia perciò, è quello di creare una realtà quanto più serena e propositiva, che sostenga il giovane, ma che lo ponga altresì di fronte alle proprie responsabilità.
Diverse indagini si sono interessate del ruolo dei genitori nell’ambito dello sport giovanile. L’interesse per questo aspetto deriva, però, dal crescente effetto negativo in seguito alla pressione esterna sui giovani atleti. Conseguentemente ragazzi inseriti in un ambiente estremamente competitivo, orientato al risultato, sono sovraccaricati da un bisogno di dimostrare la propria superiorità a causa dell’enfasi sui riconoscimenti esterni e sui feedback.
Infatti il coinvolgimento nell’attività fisica, da un punto di vista emotivo, motivazionale e di orientamento agli obiettivi, è fortemente influenzato (positivamente e negativamente), dal comportamento dei genitori.
Da questo punto di vista, credo che la presenza di uno psicologo sportivo nello staff tecnico di un settore giovanile, possa giovare alle relazioni, spesso molto difficili, tra genitori e lo staff stesso. Anche se il comportamento negativo dei genitori non potrà mai essere eliminato dallo sport giovanile, è possibile operare in modo da limitarlo, educando i genitori e migliorando le linee di comunicazione tra genitori e società sportiva.
Ho voluto affrontare quelli che sono alcuni dei temi principali che uno psicologo sportivo si trova a gestire in una realtà come quella di un settore giovanile, ma, come detto in principio, molti altri sono i punti di vista che l’attività sportiva giovanile mette di fronte a noi professionisti del settore, rendendo proprio per questo stimolante e coinvolgente il nostro apporto.
Aggiungi commento
Commenti