La gestione di un gruppo di lavoro: alcuni fattori da considerare.

Tutti i componenti della squadra sono uguali! Questa, per mia esperienza, è una tra le affermazioni più inesatte e fuorvianti quando si parla di gestione di gruppi di lavoro, squadre sportive o equipe impegnate in diverse mansioni.
La verità è che il gruppo è formato da persone molto diverse tra di loro e come tali vanno gestite.
Se i principi davanti ai quali tutti sono uguali devono essere le regole che accomunano un’equipe professionale ed il fine ultimo verso il quale tutti sono indirizzati, i soggetti, i professionisti, le persone che un responsabile/leader coordina devono essere approcciati in maniera diversa gli uni dagli altri.

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Per esercitare una leadership efficace è necessario saper leggere le differenti persone che si hanno davanti e i quadri situazionali nei quali sono inseriti in modo da essere in grado di individuare ed interpretare i bisogni, le aspirazioni e le potenzialità dei componenti del gruppo.
Bisogni, aspirazioni e potenzialità rispondono ad alcune caratteristiche comuni alla maggior parte delle persone e rappresentano Fattori che influenzano in maniera significativa le dinamiche e le relazioni all’interno di un gruppo di lavoro.
Va considerato che tali Fattori vengono vissuti da ogni professionista in maniera molto soggettiva e producono una reazione a livello emozionale, comportamentale  e psicologica che influisce direttamente sul livello motivazionale e produttivo del soggetto in questione.
Prendiamo in esame innanzitutto che le persone hanno bisogno di appagare il loro desiderio di prestigio e di considerazione.
Risulta perciò fondamentale fargli comprendere che ci fidiamo di loro e che ne abbiamo considerazione.
Viceversa, niente è più squalificante per un collaboratore del fargli capire che viene messo al corrente solo del minimo indispensabile che deve assolutamente conoscere per svolgere debitamente il proprio lavoro.
Un leader esperto e che sa leggere bene la situazione che ha davanti, osserva con attenzione i comportamenti dei suoi
collaboratori, non tarderà a riconoscere quelli che manifestano più sensibilità di altri verso l’acquisizione del prestigio personale.
La comprensione di questo desiderio costituirà il primo passo per mettere a punto una strategia di motivazione verso queste persone e trasformarle da campioni potenziali in campioni a pieno titolo.
Attenzione, perchè anche la motivazione deve essere studiata bene.
Spesso l’incentivo economico rappresenta la leva motivazionale principalmente utilizzata nelle aziende e senza dubbio essa rappresenta per molti il giusto mezzo motivazionale, ma con le persone che sembrano preoccuparsi più dell’affermazione personale che dei vantaggi materiali derivanti dal successo, le ricompense, pur gradite,  non sono altrettanto essenziali quanto l’affermazione stessa. Queste persone sono più caricate dal fatto di aver superato o risolto un difficile problema, che non da qualsiasi premio in denaro.
Perciò innanzitutto, non tutte le persone sono motivabili con l’uso esclusivo della ricompensa economica.
Ci sono collaboratori per i quali un pubblico elogio è di gran lunga più importante e gratificante di un premio in denaro.
Un buon coordinatore riesce ad offrire ai collaboratori più sensibili all’autoaffermazione il maggior numero possibile di occasioni per riportare successi e per affermarsi agli occhi
degli altri e di se stessi.
Facendo leva sul loro desiderio di emergere, può stimolarli a raggiungere obiettivi più elevati,con soddisfazione sua, loro e dell’azienda.
La motivazione di un collaboratore può avere svariate sfaccettature ed avere origine anche dall’assegnazione di compiti e responsabilità.
Esistono persone per le quali riveste una grande importanza qualificarsi
professionalmente e apprendere continuamente cose nuove.
Esse si motivano quando viene loro assegnato un compito attraverso il quale hanno occasione di sviluppare nuove capacità.
Un buon gestore di un’equipe di lavoro può anche riflettere sul fatto che, forse, tra i propri collaboratori ce ne sia uno che da tanto tempo aspetta che gli venga affidato un determinato compito, attraverso il quale potrebbe avere l’occasione di migliorare ulteriormente il suo rendimento e il suo spirito d’iniziativa.
Un altro aspetto da tenere in considerazione, come detto, è rappresentato dai fattori emozionale e comportamentale che influiscono sul rendimento professionale e quindi produttivo.
Alcuni manager sono convinti di poter ottenere molto attraverso il timore o la pressione psicologica che riescono a incutere ai loro collaboratori.
Solo in poche occasioni questo approccio può rivelarsi utile e comunque nel breve periodo. Sulla lunga distanza, e dunque nella prospettiva di un rapporto duraturo, il timore e la pressione psicologica non paga, perché produce frustrazione.
È questo un caso esemplare di quando affermo che non tutte le persone vanno trattate allo stesso modo. Molte persone fanno fatica a  sopportare per molto tempo una situazione frustrante e pressante e sentendovisi costrette vivono l’ambiente lavorativo e le relazioni con i superiori con ansia e disagio abbassando significativamente il lorl livello di performance lavorativa.
Vi sono invece collaboratori che utilizzano la loro aggressività mettendosi a cercare un’alternativa che li tolga dal clima di insicurezza e di timore, mentre i meno validi sfogheranno la loro aggressività all’interno del gruppo, fomentando rancori e alimentando il malumore.
L’aspetto negativo è che in entrambi i casi, il manager non ci avrà guadagnato nulla!!!
Piuttosto egli potrebbe assumere comportamenti che non provochino paure e pressioni nei collaboratori e preferire un approccio che favorisca tra i collaboratori la percezione di competenza, fiducia e sicurezza per aiutarli a diventare migliori e per fare in modo che, oltre agli obiettivi dell’azienda, essi possano realizzare anche i loro obiettivi personali senza voler coglierli in fallo alla prima occasione.
Vi sono perciò diversi aspetti che vanno presi in considerazione per gestire in maniera produttiva e funzionale un gruppo di lavoro e spesso gli impegni, le scadenze e lo stress derivante dal lavoro stesso rischiano di far si che un manager non abbia la prontezza o la lucidità per affrontare con oculatezza le diverse problematiche che comporta il coordinamento dei collaboratori.

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La preparazione mentale nel Baseball

Paolino Ambrosino

Paolino Ambrosino

Il gioco di baseball richiede un atteggiamento mentale unico rispetto ad altri sport di squadra.

La velocità ed il tempo di reazione rappresentano un punto di riferimento fondamentale nelle dinamiche del gioco per cui l’abilità a rispondere fisicamente in un lasso di tempo molto breve coinvolge il giocatore da diversi punti di vista, a partire dalla prospettiva mentale.

Durante il gioco si verificano diversi momenti di “high and low performance” per non parlare durante l’intera stagione. Il giocatore perciò deve imparare a gestire gli strumenti mentali che gli permettano di far fronte ad ogni eventualità e situazione di gioco in modo da avere una maggiore costanza nel rendimento.

Un atleta mentalmente duro è un’atleta calmo, focalizzato sull’obiettivo e con un livello di self confidence ed autostima piuttosto alti.

Come battitore, l’atleta va sul piatto con sicurezza e decisione di dare il meglio nel gesto tecnico, non solo sperando di poterlo fare. Egli si trova in una condizione di apparente svantaggio dove deve affrontare non uno ma due avversari e, se vogliamo estendere il concetto, non una ma due menti (il catcher e il pitcher). Per tal motivo risulta molto importante l’approccio con il quale affronta la fase di battuta ed i messaggi che manifesta attraverso lo sguardo, il body language, la calma e la sicurezza.

Allo stesso modo i lanciatori forti mentalmente credono in ogni lancio che eseguono, o l’esterno attacca la palla e non lascia che la palla attacchi lui.

I giocatori che mancano di self confidence e di durezza mentale sono particolarmente esposti a significative pause nel rendimento, mentre coloro che possono contare su un alto livello di autostima e fiducia viceversa sanno (e non sperano) di ottenere i risultati in relazione al lavoro fatto.

Il giocatore perciò costruisce la propria forza mentale lavorando ed allenandosi con costanza sia fisicamente che tecnicamente ma anche e soprattutto mentalmente, imparando a conoscere la propria personale realtà come atleta ed individuo, acquisendo gli strumenti necessari ad affrontare ogni situazione della gara in maniera da accrescere la sicurezza in se stesso e nelle proprie capacità.

Mario Balotelli. Un bad boy? Non credo proprio.

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Per quanto si possa osservare il comportamento di Mario Balotelli in questi anni di carriera da un punto di vista professionale, è chiaro che nella maggior parte dei casi in cui si è trovato in situazioni diciamo “discutibili”, l’atteggiamento e le reazioni che assumeva non erano giustificabili.
L’ultimo episodio che ha mosso l’opinione pubblica ed ha portato la giustizia sportiva a conferirgli tre giornate di squalifica, rappresenta senza dubbio uno dei suddetti comportamenti.
Ho apprezzato molto sia la società AC Milan, sia l’allenatore Allegri, per come si sono posti di fronte a questa ennesima intemperanza evitando di fare ricorso per la squalifica, proprio per il messaggio che sottende a tale comportamento.
Balotelli infatti, non solo ha contribuito a mettere se stesso in cattiva luce, ma ha messo anche i compagni e la società in grave difficoltà, per non parlare della mancanza di rispetto verso il direttore di gara.
Mario Balotelli, a questo punto, però, deve per forza decidere di crescere, lavorare sul proprio comportamento, sulle proprie reazioni allo stress ed a ciò che lui ritiene un’ingiustizia subita. non solo ha contribuito a mettere se stesso in cattiva luce, ma ha messo anche i compagni e la società in grave difficoltà, per non parlare della mancanza di rispetto verso il direttore di gara.
Ma detto questo, resto dell’idea che non si tratta affatto di un “bad boy”!
Balotelli ha probabilmente bisogno di un punto di riferimento professionale che lo supporti nel lavoro su se stesso, sulle proprie reazioni, sulla gestione dello stress, ma soprattutto deve rendersi conto di averne bisogno, deve cioè voler lavorare su se stesso, su quello che sembra sempre più il suo tallone d’achille che può rappresentare il principale ostacolo ad una sua totale affermazione come campione internazionale.
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A mente fredda, ritengo che il ragazzo conosca molto bene l’opportunità o meno di determinati comportamenti ed il fatto che, più o meno volontariamente, si sia scusato, ne è una prova. Di più, direi che anche la famosa T-shirt che recitava “Why always me?”, in un certo senso rappresenti, seppur con un carattere un pò vittimistico, il modo in cui Balotelli esperisce determinate situazioni che lo coinvolgono in prima persona. 
Per tale motivo il ragazzo, anzi l’uomo Balotelli, è ora che decida di prendere coscienza di ciò che lo porta a scadere in determinati comportamenti e reazioni di fronte a situazioni che, per quanto gli siano avverse, andrebbero affrontate con una testa, una consapevolezza ed una maturità ben diverse, così da non poter più essere etichettato, a torto, un “bad boy”.