La relazione che si instaura in ambito sociale tra operatore e persona disabile è spesso caratterizzata da un rapporto centrato sulla condivisione esperienziale nella quale vi sono due attori, l’operatore “sano” e l’operatore “con disagio” dove ognuno cura i limiti, gli impedimenti, gli ostacoli dell’altro in maniera più o meno consapevole percependone l’energia e interscambiando la propria realtà.
Le differenze, i ruoli, le responsabilità rimangono intatte, ognuno per quanto gli concerne, ma vi sono occasioni nelle quali tutto sembra livellarsi, perdere l’aspetto istituzionale, e, cosa più importante, si fa più sottile il gap determinato dal disagio.
Una di queste occasioni è rappresentata dallo sport.
Il valore educativo e formativo dell’attività sportiva è ampiamente riconosciuto sia a livello di sport individuale che di squadra.
Certamente vi sono limiti che non possono essere trascurati, perché il disagio, qualunque esso sia, non può e non deve essere sottovalutato o ignorato, ma a livello emotivo, psicologico ed esperienziale si può osservare un fenomeno che solo l’attività sportiva, e poche altre, possono offrire.
Quando si ha la fortuna di assistere, se non addirittura partecipare, ad un percorso educativo e riabilitativo che usi come strumento uno sport, in cui si rapportino operatori, volontari ed altre figure affini del mondo del sociale, e persone con un disagio (fisico o mentale), si ha la possibilità di constatare come in campo le distanze si accorcino, sia quelle sociali che quelle personali. La diversità diviene così una risorsa, una ricchezza ed un occasione per una crescita interiore per tutti i partecipanti.
Come ha avuto modo già di dimostrare coach Calamai nel suo mirabile lavoro con i ragazzi disabili introdotti alla pallacanestro attraverso il suo progetto sperimentale, quando persone disagiate vengono indirizzate, seguite e supportate, riescono a manifestare qualità fino allora inespresse poiché “il gioco rappresenta uno strumento di contatto speciale con tutti i ragazzi, compresi quelli in difficoltà, e questo deve essere sentito come un vantaggio, ma anche una responsabilità per chi lo usa” (da “Uno sguardo verso l’alto”, Marco Calamai, Franco Angeli, 2008).
Il potere dello sport è quello di rendere in campo tutti un pò più vicini, dove non c’è operatore e disabile, ma ci sono compagni di squadra che giocano per un obiettivo comune. L’attività sportiva permette a chi non ne ha avuto spesso l’occasione durante la propria vita, di recuperare quella dignità personale, indipendenza, spirito libero e riscoperta di se stessi che si può capire appieno solo attraverso lo sguardo di chi, giocando, dimentica le problematiche che lo accompagnano nel quotidiano.
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