La presenza di uno psicologo sportivo all'interno di una società sportiva ha ovviamente una valenza operativa ed una anche relativa all'immagine che la società vuole dare di sè stessa lanciando un messaggio di professionalità in quanto la società si distinguerà per una visione completa dello sport e dall’altra sarà possibile rendere la crescita degli atleti più costruttiva, consapevole e completa anche dal punto di vista psicologico e dell'approccio mentale alla gara e all'allenamento.
Questo vale sia per gli atleti adulti professionisti, ma anche e forse soprattutto, per i ragazzi del settore giovanile.
Per tecnici e ragazzi sarà infatti possibile lavorare in un clima sereno e favorevole alla crescita sportiva favorendo la formazione non solo dell'atleta ma anche del ragazzo come persona.
Tecnici e staff saranno formati e supportati durante allenamenti e gare rimanendo liberi di potersi dedicare esclusivamente al lavoro di campo.
Sarà quindi un lavoro parallelo dove nessuno si sovrappone o si sostituisce al lavoro dell'altro ma tutti collaborano remando dalla stessa parte ognuno con le proprie competenze.
Che siano adulti o ragazzi gli atleti sono comunque delle persone con le proprie abilità mentali, i propri vissuti emozionali che si traducono in comportamento e influiscono in maniera più o meno consapevole sulla prestazione.
Ed è proprio su quel “più o meno consapevole” che a volte bisogna intervenire.
Il ruolo dello psicologo sportivo si sta diffondendo ormai con una certa frequenza anche se, ancora oggi, però, lo psicologo deve fare i conti con una certa diffidenza da parte delle società sportive, degli staff tecnici e degli atleti stessi, che vedono e leggono nel termine “psicologo” ancora qualcosa da cui rifuggere e tenersi a distanza, perché, a ragione, non credono di essere persone o atleti malati, né tanto meno, vogliono ipotizzare tale possibilità.
Questo approccio, molto più frequente di quel che si possa credere, rappresenta uno degli ostacoli che ancora il professionista psicologo sportivo deve affrontare nel proporsi, tanto che, a volte, il termine “mental coach” potrebbe apparire di maggiore impatto e meno allarmistico di quanto possa sembrare quello di psicologo.
É chiaro che da psicologo sportivo, che usa entrambi i termini solo per comodità, non ho intenzione di cadere in questo inganno semantico, anche e soprattutto perché, io, come i miei colleghi, sappiamo bene cosa significhi la dicitura “psicologo dello sport”, ma risulta altresì chiaro che molto spesso, come categoria, dobbiamo, in sede di colloquio, dover infilare una sorta di spiegazione di quello che è il nostro ruolo, quasi dovendo assicurare che non dobbiamo curare delle persone malate o con qualche disagio mentale (e chi di voi lavora o ha avuto esperienze lavorative con persone portatrici di disagio mentale sa bene quale sia la differenza!), ma che il nostro ruolo è ben diverso, operando sulla persona e sull’atleta al fine di migliorare il suo approccio mentale all’attività sportiva che svolge.
In alcuni casi la figura dello psicologo, che collabora con lo staff tecnico, viene rigettata dagli allenatori stessi proprio per il timore di perdere in credibilità, leadership e autorità nei confronti della squadra.
La questione è che spesso si parla di psicologia applicata allo sport, ma in realtà pochi sanno di cosa si occupi realmente, che funzione abbia e come usarla.
I pregiudizi nascono proprio da qui, dalla scarsa conoscenza riguardo l’ambito di intervento, dalla convinzione che basta un pò di buon senso comune per affrontare, anche in sede di settore giovanile, fattori psicologici come ansia, paura, stress, blocchi, voglia o concentrazione senza conoscere i meccanismi che li mettono in moto.
E questo rappresenta un percorso che dovrebbe iniziare proprio dal settore giovanile, con i bambini e gli adolescenti dove gli allenatori/ educatori dovrebbero affrontare quelli che sono i bisogni (e non i problemi!) dei giovani atleti.
In tal modo la psicologia, sebbene sia la scienza che si interessa della mente (fattore essenziale nella prestazione sportiva come nella vita), come detto, è sì in via di diffusione in ambito sportivo, ma non ancora abbastanza presente e rilevante, tanto quanto il fattore fisico/atletico e tecnico/tattico.
Volendo fare un pò di autocritica, il mondo che lo psicologo porta all’interno di una società sportiva, è piuttosto nuovo e poco esplorato, sia in termini di approccio lavorativo che rispetto al linguaggio utilizzato, ma è anche vero che lo sport spesso mette davanti a tutto il risultato immediato, togliendo di fatto la possibilità di lavorare sui tempi lunghi, cosa che in ambito giovanile, ma non solo, rappresenta l’annullamento di ogni progetto di crescita e progresso sportivo.
Ma più di qualcosa si sta muovendo su diversi fronti, anche se a fatica a livello professionistico soprattutto in relazione ad alcune discipline ancora troppo legate al passato ed alla tradizione.
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